Nel primo locale, degli anni ’50, costruito con mattoni di fornace di misura non comune, sono presenti in particolare: una cristalliera in castagno degli anni ’50, pentolame in rame per i diversi usi in cucina, coltelli ed accette (utilizzate soprattutto per sezionare i maiali), una gabbia per uccelli fatta a mano, una vecchia rotella metrica, una sella d’asino ed altri arnesi ed utensili rurali.
Partendo dalla nostra destra, si nota una raccolta di attrezzi che riguardano il mestiere del Falegname.
Sempre sulla destra, per chi entra, una porta in castagno massello (in origine porta di pollaio) chiude una cantinetta in cui sono esposti vini DOC prodotti nel Savuto (celebrati da Mario Soldati, in uno dei suoi scritti “Vino al vino”). Ogni viticoltore del Savuto è presente con una o più bottiglie, di cui molte datate nel tempo. A seguire notiamo una piccola Pialla a mano (in dialetto “chjanuzzu”) anno 1920 circa; serviva per levigare il legname per i mobili prima dell’avvento della versione elettrica. In esposizione c’è anche una serie di pinze, martelli e tenaglie.
Altro mestiere degno di nota è quello del Cestaio, al quale si demandavano tutte le varie tipologie di contenitori e oggetti intrecciati col giunco, vimini e listelli vari. Oggetti particolari sono i Filtri per l’Olio (in dialetto “fishculi”) anno 1950 circa. Ricordano vagamente i sombreri ma, ovviamente, non hanno niente a che vedere con i tipici copricapi messicani. I filtri, una volta riempite di olive le loro cavità, venivano posti l’uno sull’altro per essere energicamente premuti dall’alto, anche con l’aiuto di qualche peso, così che le olive, potessero essere adeguatamente schiacciate e spremute. Mediante questa operazione, le olive si trasformavano in olio, che si andava a depositare nella “vasca”, disposta alla base di questa colonna; i noccioli delle olive restavano all’interno dei filtri che, finita l’operazione, venivano puliti e sistemati di nuovo per proseguire il lavoro.
Passiamo, quindi, al mestiere del Fabbro, presente con questi Battenti a Porta in ferro (in dialetto “vattituri”) anno 1950 circa, adeguatamente lavorati. Erano degli attrezzi caratteristici che venivano fissati alle porte esterne delle case onde poter consentire, all’ospite o agli stessi famigliari (all’epoca, la chiave della porta di casa spesso era una sola), di bussare per farsi aprire; oggi sono sostituiti dai campanelli elettrici. Possiamo, inoltre, apprezzare anche una serie di serrature a mandata.
Affine al fabbro è lo Stagnino, un artigiano che creava, lavorava, costruiva e riparava tutto quello che era utile alla cottura del cibo, in particolare utensili in rame. Famosi nel territorio cosentino, i ramai e gli stagnini di Dipignano. Possiamo osservare, in alto, un Paiolo in rame (in dialetto “quadara”) anno 1950 circa. Era un utensile presente quasi in ogni casa ed era usato per svolgere varie funzioni. Serviva per preparare le “frittole”, tipico piatto calabrese a base di scarti del maiale (ossa con carne, cotenne, piedi, orecchie etc.); serviva anche per fare il bucato, per le conserve, soprattutto per bollire le bottiglie con la passata di pomodoro (pastorizzazione), e come vasca da bagno. È presente anche un set di pentole in rame (in dialetto “cassarole”), anno 1950 circa.
In un contesto contadino, non possono mancare gli attrezzi e gli utensili del Maniscalco, il cui compito principale era quello di creare i ferri per asini e cavalli a protezione degli zoccoli. Di solito, era difficile trovarlo nei piccoli centri, dove passava solo da ambulante, periodicamente, fermandosi a svolgere il proprio lavoro in Piazza. Un attrezzo particolare, ricavato da un ferro di cavallo, è il Toglistivali, usato nelle case padronali per togliere gli stivali. Era molto caratteristico e molto utile e, in un certo senso, costituiva anche un segno dello status symbol della casa e della famiglia. Fra questi utensili, è presente anche uno Staffile (in dialetto “vurpile”) per frustare i cavalli, che era ritenuto anche un’arma bianca. Abbiamo, poi, una serie di Ferri e di attrezzi per la ferratura degli asini, dei muli e dei cavalli, intervento –cpme detto- che il maniscalco svolgeva periodicamente in loco e da ambulante, previa informativa verbale fatta giungere ai contadini e ai proprietari di quadrupedi.
Un mestiere molto importante, anche al giorno d’oggi, sebbene quasi scomparso è quello del Calzolaio. Il suo tavolo da lavoro era il Deschetto. Nella prima Casetta Museo ne abbiamo uno risalente al 1910. Su di esso, il calzolaio disponeva tutti gli utensili che gli erano necessari per la risuolatura delle scarpe o per la costruzione a mano di scarpe, scarponi e stivali. Sul deschetto, presente del Museo, ci sono anche una scatolina, ormai vuota, di grasso “Aquila”, anni cinquanta circa, ed una scatolina di lucido per scarpe “Marga”, anch’essa anni cinquanta circa. Fra i vari utensili è bene ricordare la lesina (varie tipologie si trovano sul deschetto, presente nel Museo) o punteruolo per calzolaio (in dialetto “suglia”), anno 1950 circa. Esso serviva per forare suola e tomaia e per consentire l’operazione di cucitura della scuola alla tomaia. Per far passare più agevolmente il filo per la cucitura, il calzolaio usava le setole di maiale (in dialetto “nsite”).
Nella collezione di utensili, trovano spazio anche quelli del Macellaio. Abbiamo un Set di coltelli per l’uccisione del maiale, a partire dal coltello usato per sgozzare l’animale (in dialetto “scannaturu”) per finire a quelli usati per la lavorazione della carne, per fare la salsiccia, le “sopressate” etc. È presente un Gancio appendicarcassa (in dialetto “gammellu”) che si usava, soprattutto in casa ma anche presso il pubblico mattatoio, per appendere la carcassa del maiale dopo la pulitura. La carcassa del maiale veniva fissata, per mezzo dei tendini delle zampe posteriori, alle due estremità del gancio appendicarcassa per le ulteriori operazioni che riguardavano la macellazione del maiale, dall’estrazione dell’intestino alla divisione del corpo in due parti (in dialetto “mensine”) e al taglio della testa.
Ovviamente, in un contesto rurale, non potevano mancare gli attrezzi del Contadino che, data anche le caratteristiche della zona, poteva anche fare il Boscaiolo. Un particolare utensile è uno Zoccolo in legno (in dialetto “zocculu”), anno 1920 circa, che serviva per la pulitura (in dialetto “pilatura”) delle castagne essiccate (nel dialetto del territorio “castagne pilate”, nel dialetto cosentino “pistiddri”). Questa operazione della “pilatura”, detta anche “zocculiatura”, era la fase successiva a quella dell’essiccazione. Nell’ambito del territorio, l’operazione dell’essiccazione veniva condotta nelle cosiddette “caselle”, costruite in prossimità del castagneto o, comunque, nel campo cui apparteneva il bosco di castagni. Le castagne venivano essiccate al fuoco, con opportune strategie, con tutta la buccia. Finita questa prima operazione, le castagne venivano poste in una vasca di cemento, in cui entrava il contadino, dopo aver calzato gli zoccoli adibiti alla “zocculiatura”, e camminando su di esse ne realizzava la pulitura. Non può mancare l’Aratro a chiodo in legno (in dialetto “surcaturu”), anno 1800 circa, che serviva per arare la terra. Gli aratri a chiodo in legno, in Calabria e nel territorio del Savuto, sono stati usati fino alla prima metà del XIX secolo. Conserviamo anche un Collari con campanaccio, anno 1950 circa, per gli animali. Quelli presenti nella prima Casetta del Museo sono di vario tipo. Campanacci per animali grossi (mucche, ad esempio) e campanacci per animali piccoli (caprette, agnellini etc.). Caratteristico è il suono dell’animale capofila che, per intensità, si distingue dai vari suoni degli altri campanacci.
Altri particolari utensili esposti sono quelli relativi al mestiere dell’Elettricista. Si tratta di interruttori e prese in ceramica, ovviamente risalenti ad un periodo antecedente all’avvento della plastica.
Degna di nota è anche la collezione di Rubinetteria in ottone, anno 1950 circa, relativa al mestiere dell’Idraulico.